Moltissime le piaghe del nostro Pianeta e che mettono a rischio la sopravvivenza di molte popolazioni di esseri umani (e non solo).
La desertificazione e siccità sono tra i primi della lista per gravità e diffusione: le zone aride coprono il 40% delle terre emerse, e tra il 10 ed il 20% di queste, sono già gravemente degradate.
E non solo: i due fenomeni avanzano, e si stima che nel mondo ci sia un miliardo di persone a rischio a causa della desertificazione, a sua volta aggravata dal cambiamento climatico.
Per questo motivo, in tantissime parti del mondo, colpite da questi due eventi, si sperimentano i metodi più vari per contrastare il degrado del suolo. In Marocco, ad esempio, si va a caccia di nuvole e nebbia.
Un metodo sperimentato in particolare in un’area del Marocco meridionale, ai piedi della catena dell’Anti Atlante, dove una non profit locale, la Dar Si-Hmad, ha avviato una collaborazione con la Aqualonis, un’azienda tedesca, per catturare e far condensare il vapore acqueo che compone la nebbia, solita ad avvolgere le pendici del monte Boutmezguida per tutto l’anno.
Questo metodo ha origini molto antiche, e si basa su un principio semplicissimo: l’utilizzo di gigantesche reti a maglia stretta, sulle quali nebbia e nuvole si condensano.
L’acqua raccolta, poi, viene convogliata in un sistema di canali, filtrata e infine raccolta in cisterne che approvvigionano i villaggi della valle.
Il progetto comprende 31 collettori e cinque cisterne, che riforniscono 16 villaggi e circa 1600 persone, per le quali la disponibilità di acqua al giorno è salita da 8 litri a 18.
La pesca delle nuvole ha molti altri vantaggi, però, come la possibilità degli abitanti della valle di coltivare ortaggi (anche se in quantità molto basse), o semplicemente le donne, ora non avranno più la stretta necessità di percorrere chilometri a piedi per recuperare l’acqua dai pozzi.
Le due aziende hanno istituito anche dei corsi di formazione di aggiornamento per aiutare le popolazioni locali a raggiungere l’autosufficienza e sviluppare quell’esperienza che potrebbero spendere altrove, in altre zone a rischio di desertificazione.