Kira Riehm, ricercatrice presso il Dipartimento di salute mentale della John Hopkins University Bloomberg School of Public Health di Baltimora, nel Maryland (USA), ha condotto una ricerca alla ricerca di una correlazione tra disturbi dell’umore e social networks.
Presi in esame sono quelli della Generazione Z (o Centennial),i nati tra il 1997 e 2012, ovvero gli adolescenti nati e cresciuti quando l’uso di smartphone, internet e social era un’abitudine quotidiana.
I risultati della ricerca sono stati sconvolgenti: più di tre ore al giorno sui social causano depressione, ansia, aggressività e comportamento antisociale.
La ricerca consisteva nel intervistare 6.595 adolescenti americani tra i 13 e 17 anni e chiedere loro, nell’arco di tre anni, quanto tempo trascorressero sui social ogni giorno e se avessero problemi legati alla salute mentale.
I risultati emersi sono che l’uso, ma soprattutto l’abuso, dei social sugli adolescenti causa effetti sia interni che esterni che non sempre si manifestano subito. Lo studio dimostra che gli adolescenti che passano più tempo sui social media hanno più probabilità di avere disturbi del comportamento interiori, come depressione, ansia etc, un anno dopo.
Solo il 17% degli adolescenti non utilizzava i social media, mentre il restante (4 su 5), per il 32% lo faceva per meno di 30 minuti; il 31% tra 30 minuti e 3 ore; il 12% dalle 3 ore alle 6 ore; l’8% per più di 6 ore al giorno.
La ricerca non esclude che un tempo minore a 30 minuti non possa risultare dannoso e sottolinea che non reagiscono tutti alla stessa maniera. In futuro, gli studi potrebbero tracciare in tempo reale la quantità di tempo passata sui social media, fornendo dei numeri più accurati per creare una sorta di limite.
Secondo la ricercatrice il segreto sta nella moderazione: i social media collegano gli adolescenti che potrebbero essere esclusi nella vita quotidiana. Si dovrebbe, dunque, trovare un modo migliore per bilanciare i benefici dei social con possibili esiti negativi sulla salute. Stabilendo dei limiti, migliorando la progettazione delle piattaforme e focalizzando gli interventi sull’alfabetizzazione mediatica, si potrebbe trovare un giusto equilibrio.