La perfusione consiste nell’ossigenare gli organi espiantati e nutrirli con appropriate soluzioni, mentre la loro temperatura è di pochi gradi sopra lo zero, riducendo così la richiesta di ossigeno dei tessuti. Grazie a questo procedimento si guadagnerebbero ore per poter effettuare l’intervento e migliorare la funzionalità, limitando le terapie post operatorie.
Un fegato poteva stare fuori da un corpo per un massimo di 12 ore, ma l’Ospedale Universitario e del Politecnico Federale di Zurigo, del centro di ricerca congiunto Wyss Zurich e l’Università di Zurigo, hanno portato la sopravvivenza del fegato a sette giorni.
La macchina ideata da questo team è in grado di simulare una buona parte di funzioni fisiologiche necessarie al fegato. Essa monitora la crescita del fegato misurandone regolarmente la funzionalità, riuscendo a preservare gli organi sani e mettendo a nuovo gli organi danneggiati prelevati da cadaveri, non sempre considerati idonei.
Grazie al tempo prolungato, si ha la possibilità di riparare lesioni preesistenti, ripulire i depositi di grasso accumulati nel fegato e rigenerarne una parte. Questo permette di far crescere più velocemente una parte sana del fegato da utilizzare per un auto-trapianto o di utilizzare il fegato di un solo donatore per più riceventi.
Lo studio ha preso in analisi 10 fegati umani in cattive condizioni, riportandone 6 alla completa funzionalità dopo una settimana di cure nella macchina di perfusione.
Una scoperta che potrebbe giovare anche l’Italia date le lunghe attese per i trapianti -1,5 anni circa-, con 1.047 pazienti in attesa.