Solo qualche mese fa, l’account Facebook del governo australiano è stato bloccato dal social network, in quanto il parlamento australiano stava approvando una legge che obbliga i social network a pagare gli editori quando vengono condivise le loro notizie. Una simile legge in vigore anche in Europa, state stabilizzando il mercato editoriale.
Il consiglio di sorveglianza di Facebook ha confermato la decisione del social network di sospendere l’account dei social media dell’ex presidente Donald Trump, aggiungendo che deve potrebbe la decisione presa tra sei mesi.
La sentenza è stata appena confermata, ma la decisione potrebbe trasformare radicalmente il ruolo che le società di social media svolgono in politica e soprattutto nel mondo della libera comunicazione.
Peraltro, Facebook avverte, la decisione potrebbe essere di ban a vita per l’ex presidente degli Stati Uniti d’America.
La notizia ha un’importanza colossale, segue la scia della precedente sospensione di Trump da Facebook e Twitter e altre piattaforme di social media, per aver favorito una insurrezione nel palazzo del Campidoglio a Washington avvenuta inizio gennaio.
Trump è accusato di incitamento.
Facebook già il 7 gennaio aveva sospeso quello che era in quei giorni ancora il presidente d’America, bloccando anche l’account Instagram. Il consiglio indipendente nominato da Facebook ha affermato che i comportamenti di Trump sono stati inadeguati per la figura da lui rappresentata.
Tutto ciò, in effetti ci fu anche poi un seguito con la richiesta di impeachment, poi negata dal Senato americano. Trump avrebbe, secondo Facebook violato gravemente le regole di Facebook, incoraggiando è legittimato la violenza.
Ma a questo punto ci chiediamo, è legittimo che un’azienda ormai leader mondiale di comunicazione, possa abbandonare avvita un personaggio pubblico come l’ex presidente americano, la cui ideologia potrebbe essere pur discutibile, ma Facebook sta legittimando un diritto che non gli appartiene: la censura di un uomo politico.
Si tratta di fatti estremamente gravi, in quanto andrebbero decisi non tanto da un’azienda privata, bensì da un tribunale, in questo caso governativo.
Ma il tema è piuttosto complesso, oltre che dibattuto ampiamente ormai a livello mondiale. Negli Stati Uniti, oltre che altri paesi nel mondo, hanno inasprito le sanzioni nei confronti dei social media che non vigilano sui contenuti pubblicati da loro utenti.
Le grandi piattaforme hanno realizzato algoritmi in grado di controllare e bloccare gli utenti, ma si tratta sempre di azioni automatiche, che peraltro bloccano anche post e contenuti inoffensivi.
Il crescente potere politico dei social media sta rimodellando il mondo. Dato il loro ruolo relativamente modesto nella campagna iniziale del 2008 dell’ex presidente Barack Obama, adesso sono diventati così potenti da rimuovere l’ex capo americano.
Qualunque cosa pensiamo di persone come Donald Trump o delle loro politiche, è logico che quando si tratta di azioni così significative, se Twitter, Facebook e altre società di social media possono modificare quello che è probabilmente l’ufficio più potente del mondo, possono farlo a chiunque.
È difficile non essere d’accordo con la rimozione di personalità online o persone che si oppongono o minacciano la possibilità di una sana democrazia. Insomma, non ci sono le risposte, ma la questione operativa qui è se i fini giustificheranno sempre i mezzi.