Nei pressi di Norilsk, in Russia, a quasi tremila chilometri da Mosca, un deposito di gasolio ha versato più di 20 mila tonnellate di carburante diesel in uno dei fiumi siberiani. L’allarme è stato dato in ritardo, quando ormai il liquido aveva percorso più di 20 chilometri, coprendo un’area di 350 km quadrati e inquinando, per giunta, un secondo fiume.
Le notizie hanno suscitato una reazione pubblica molto forte, tant’è che il presidente Vladimir Putin è intervenuto di persona, proclamando lo stato di emergenza e riproverando molto duramente in diretta televisiva i responsabili dell’accaduto.
“Perché il governo è stato informato solo due giorni dopo l’accaduto? Dobbiamo venire a sapere di una situazione di emergenza dai social media?”, chiede, infuriato, il presidente: “Ma lei è a posto con la testa o ha qualche problema?”, rivolgendosi al responsabile locale dell’azienda.
L’incidente è avvenuto il 29 maggio, in una centrale elettrica di proprietà della Ntek, una società della Norilsk. I sostegni di un gigantesco serbatoio circolare, sono crollati a causa del riscaldamento del terreno.
In quella zona è tipico il fenomeno permafrost, dove il suolo resta ghiacciato sia d’estate che d’inverno, ma i cambiamenti climatici stanno mettendo in crisi tutte le costruzioni che si reggono su pali profondamente infissi nel terreno.
Il carburante per la centrale, è dunque finito nel fiume Ambarnaya. Il ritardo negli interventi di bonifica ha fatto sì che si inquinasse anche un altro fiume, il Pyasina, che sfocia sul Kara.