Sono tanti i suoni usati dagli animali per comunicare tra loro: i lupi ululano, gli uccelli cinguettano, le rane gracidano, e così via.
Uno studio dell’Università dell’Arizona, guidato da John J. Wiens, e successivamente pubblicato su “Nature Communications”, analizza le origini dei richiami ancestrali degli animali.
La prima volta che la comunicazione acustica tra i vertebrati si è evoluta tra i 200 e i 100 milioni di anni fa, e che si è conservata come tratto stabile nelle diverse linee evolutive e che era inizialmente associata a uno stile di vita notturno.
Per comunicazione acustica si intende quel tipo di comunicazione, usata sia dagli animali che dagli esseri umani, dove vengono utilizzati prodotti solo dal sistema respiratorio e non da altre parti del corpo come, ad esempio, lo sbattimento delle ali.
La ricerca è stata condotta con un approccio filogenetico, ovvero ricostruendo un albero di parentela evolutiva tra i gruppi animali, specie tra mammiferi, uccelli, anfibi e rettili.
Hanno raccolto i dati disponibili sulla presenza di comunicazione acustica in 1800 specie di vertebrati vissuti negli ultimi 350 milioni di anni, registrando anche le loro abitudini comportamentali e l’ambiente in cui vivevano.
Le analisi hanno dimostrato che questa comunicazione si è affermata nei gruppi di animali con abitudini notturne.
Infatti, in mancanza di luce, era impossibile allontanare i predatori o attrarre i partner utilizzando delle caratteristiche fisiche visibili, come colori o dimensioni del corpo. Ecco dunque che trasmettere forti segnali sonori ha fornito un grande vantaggio per la sopravvivenza della specie.
Ai giorni d’oggi, la comunicazione acustica è presente nel 95% di vertebrati terrestri, ed è rimasta come carattere evolutivo stabile anche in quei gruppi animali che nel tempo hanno modificato il loro stile di vita, acquisendo abitudini diurne.
“Sembra che la comunicazione acustica sia stata un vantaggio durante le attività notturne, ma che non abbia costituito nessuno svantaggio nel passaggio alle attività diurne”, spiega Wiens.
“Abbiamo esempi di alcuni gruppi di rane e mammiferi che ora sono attivi di giorno, ma che hanno mantenuto la comunicazione acustica per 200 o 100 milioni di anni, a seconda del gruppo di appartenenza, ovvero da quando avevano ancora delle abitudini notturne”.
Uno degli indizi molto interessanti dell’antico comportamento notturno è che la maggior parte degli uccelli è attiva nel canto specialmente all’alba.
I risultati della ricerca confermano, inoltre, che la capacità di vocalizzare non è uno stimolo per la diversificazione del gruppo e la nascita di nuove specie, come si è sempre pensato precedentemente.
“Se si guarda a una scala ridotta, pochi milioni di anni, – dice Wiens – e all’interno di gruppi specifici, come le rane e gli uccelli, l’idea sembra funzionare. Ma se si guarda a una scala più ampia, come 350 milioni di anni di evoluzione, ci accorgiamo che la comunicazione acustica non può spiegare tutta la diversità di specie che conosciamo oggi”, conclude l’autore dello studio.