Una flessibilità che si allineerebbe con il sistema previdenziale che avviene in Europa, ma non solo: si configura come uno strumento importante per garantire una tutela alle persone che saranno espulse dal mercato del lavoro a causa delle conseguenze economiche della pandemia da coronavirus.
La riforma, in teoria, avrebbe dovuto partire dalla flessibilità in uscita da prima del Covid-19.
Ora, si spera che l’emergenza sanitaria e i suoi riflessi sul mondo del lavoro fungano da spinta per mettere mano alla riforma previdenziale.
Quota 41: pensione con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica.
La riforma in queste settimane non è un tema dell’attualità, ed è stata messa in stand-by causa emergenza coronavirus.
Il 13 marzo era previsto un vertice tra governo e sindacati, che ovviamente non è potuto esserci.
Nessun discorso su quota 100, previsto per quest’anno e per tutto il 2021, cioè quando terminerà il triennio di sperimentazione.
Alcune parti politiche avrebbero voluto introdurre di già quota 41, e quindi dunque andare in pensione con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica, in sostituzione degli attuali 42 anni e 10 mesi ( 41 e 10 mesi per le donne ) attualmente attivi.
Ma ora come ora, è difficile a causa della crisi economica generatasi in pandemia. Il governo è orientato sullo smistamento del denaro verso famiglie, imprese e lavoratori che hanno risentito la crisi. Secondo uno studio, condotto prima di quota 100, passare a 41 avrebbe fatto salire la spesa a 12 miliardi già dal primo anno: un livello non facile da sostenere al momento. Inoltre, sarebbe necessario, nell’ambito dei molteplici interventi di sostegno ai redditi, prevedere una misura a favore delle pensioni in essere, estendendo il beneficio della quattordicesima a quelle fino a 1.500 mensili.
Non solo, il contenimento della spesa è anche l’adeguatezza delle pensioni che, per oltre il 60%, sono al di sotto dei 750 mensili.
Quota cento, al momento prevede un pensionamento all’età di 62 anni con 38 anni di contributi, ma con una piccola finestra: tre mesi per il settore privato, e sei per i dipendenti pubblici.
Opzione donna: 58 anni e 35 anni di contributi. I requisiti, dovevano essere raggiunti entro il 31 dicembre 2019.
Anche qui la finestrella: 12 mesi per le dipendenti, 18 per le autonome.
La misura, introdotta nel 2004, è stata più volte riproposta e la legge di bilancio per il 2020, ne ha allungato la scadenza di un anno.
Nel 2021 potranno lasciare in anticipo il lavoro le donne nate entro il 31 dicembre 1961, con 35 anni di contributi entro il 31/12/2020.
Ma l’uscita anticipata prevede un sistema contributivo, cioè una diminuzione della pensione di circa il 30% per sempre.