E’ stato trovato nel Pacifico settentrionale, un virus che fece strage di foche nell’Atlantico.
Questa scoperta ha sollevato la questione se lo scioglimento dei ghiacci marini dell’Artico possa creare dei ponti di comunicazione fra specie prima isolate, favorendo il contagio di malattie.
Secondo uno studio svolto da un team di ricercatori degli Stati Uniti e del Regno Unito, pubblicato su “Scientific Reports”, l’apertura di nuove vie di trasmissione delle malattie può essere un’altra conseguenza del cambiamento dell’ambiente artico, causato dalle variazioni climatiche.
La banchisa artica, cioè la distesa di acqua marina ghiacciata che galleggia nell’Oceano intorno all’Artide, si sta sciogliendo: questo ha degli effetti notevolmente importanti sulle specie marine della alte altitudini.
Già semplice pensare a tutti i rischi che corrono orsi polari e foche che rimangono bloccati su pack di ghiaccio alla deriva, ma il cambiamento in atto dell’ambiente artico ha conseguenze maggiori sull’ecologia degli animali, che si trovano ad affrontare nuove minacce.
Cambiano dunque la distribuzione e l’interazione fra le specie, le strategie riproduttive, le abitudini alimentari e la loro salute.
Tracey Goldstein, dell’University of California, a Davis, spiega come avviene il contatto:
“La perdita di ghiaccio marino sta portando la fauna a cercare nuove aree di foraggiamento e rimuove un’importante barriera fisica. Si aprono così nuovi percorsi, e mentre gli animali si muovono, vengono a contatto con altre specie e hanno la possibilità di introdurre nuove malattie infettive, con impatti potenzialmente devastanti”.
Pare sia successo grazie alla diffusione del virus Phocine distemper (PDV), nell’Oceano Pacifico settentrionale.
Identificato nel 1988, nel 2002 il virus del cimurro delle foche ha causato la morte di circa 20.000 esemplari di foca comune (Phoca vitulina vitulina) nell’Atlantico.
Due anni dopo, il virus ha colpito le lontre di mare (Enhydra lutris kenyoni) in Alaska, e i ricercatori si sono chiesti come fosse arrivato.
I ricercatori hanno dunque preso un campione di circa 2700 mammiferi marini nel Pacifico settentrionale, fra i quali diverse specie di foche, che dipendono dall’ambiente glaciale, leoni marini di Steller, i callorini dell’Alaska e le lontre di mare. Hanno cercato, poi, di ricostruire la diffusione del virus tra il 2001 e il 2016.
Sono riusciti ad individuare i primi due picchi di esposizione e infezione da PDV nel 2003 e 2004, con ben oltre il 30% degli animali campionati che risultava positivo al virus. Hanno inoltre trovato una nuova altissima diffusione nel 2009.
Grazie alle immagini satellitari che riportavano l’estensione della banchisa artica, è apparso indubitabile che i picchi di contagio coincidessero con l’apertura di rotte d’acqua dovuta alla riduzione dei ghiacci dell’Oceano Artico.
Questi risultati forniscono una prova delle maggiori opportunità per gli agenti patogeni di diffondersi tra gli oceani, a causa del continuo scioglimento dei ghiacci marini.
“Mentre il ghiaccio marin continua a sciogliersi, aumentano le opportunità per il virus del cimurro, così come per tanti altri patogeni, di diffondersi tra i mammiferi marini dell’Atlantico e del Pacifico settentrionale”, spiega Elizabeth VanWomer, primo autore della ricerca e docente della University of Nebraska – Lincoln.