“Vuoi avere figli? – “sì, no, forse”: il colloquio di lavoro diventa discriminatorio

Un formulario per la selezione di posti in un’agenzia di marketing digitale, denunciato dal collettivo Hella Network.

“Sei intenzionata ad avere due figli o meno anche se la tua salute e le tue entrate ne permetterebbero di più?”. Questa è la frase lampante caduta all’occhio di una candidata per l’agenzia marketing digitale Mg Group Italia.

Segnalato al Corriere della Sera da Ella Marciello, del collettivo Hella Network, che segue più di 500 professioniste della comunicazione. “Una domanda illegale: si tratta di un’informazione che può essere usata per discriminare le donne – afferma Ella – Molti datori di lavoro non vogliono assumere persone che possono andare in maternità.”

 

“Purtroppo non è l’unico caso di discriminazione di genere – continua – Abbiamo aderenti che si sono sentiti dire dai responsabili di campagne pubblicitarie che non volevano donen perché bisognava occuparsi di auto e il cliente preferiva un uomo. Come se le donne non guidassero o comprassero auto. Sono tutte pratiche illegali”.

 

La domanda si trova in un questionario online che tutti i candidati devono compilare e contiene una serie di domande per elaborare il profilo psicologico e attitudinale.

 

“Il codice delle pari opportunità definito dall’articolo 27 del decreto legislativo 198 del 2006 vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma – spiega l’avvocato Alessandra Merenda – La legge specifica  che vale anche se ciò avviene attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza”.

Discriminazione di genere sul lavoro, Credits iStockPhoto

La domanda viene posta anche nei colloqui ai candidati uomini, e resta discriminatoria anche in questo caso.

 

“Delle ricerche dimostrano che il suo impatto è diverso se a rispondere è un uomo o una donna. Se un uomo dice di voler avere figli, viene percepito dall’intervistatore come una persona seria, posata, con la testa sulle spalle, che cerca la stabilità affettiva e quindi offrirà una stabilità lavorativa” spiega Anna Lorenzetti, docente all’Università di Bergamo e che studia le discriminazioni di genere sul lavoro. 

 

“Se è una donna a dirlo, invece, viene percepita come una lavoratrice meno affidabile, che prima o poi si assenterà per la gravidanza e la maternità e metterà la cura di affetti e famiglia davanti al lavoro. Fare una domanda simile è vietato in molti ordinamenti proprio per evitare che tali preconcetti influenzino ingiustamente la scelta del candidato o della candidata”.

Exit mobile version