Siamo al 5 maggio, fuori quarantena da un giorno, e pian piano le nostre vite tornano alla normalità. Certo, una normalità completamente diversa, fatta di mascherine, distanziamento sociale e tanto disinfettante idroalcolico.
Questo grande desiderio di ritornare alle nostre solite vite, quelle normali, dove possiamo uscire liberamente, però, potrebbe non essere esattamente il pensiero di tutti.
Valentina Di Mattei, psicologa clinica dell’Ospedale San Raffaele e professore associato dell’Università Vita Salute del San Raffaele di Milano, spiega come la quarantena si trasforma in una comfort zone.
“Ci sono situazioni diverse, sarebbe difficile e imprudente generalizzare sulle ragioni che possono portare a questo timore. Certamente però, per molti questo è stato probabilmente un tempo sospeso, per alcuni versi simile all’adolescenza, in equilibrio tra l’infanzia e l’età adulta”.
“La sospensione – continua – riguarda anche obblighi e responsabilità, per questo ha un suo fascino che la mantiene desiderabile nei suoi elementi di regressione. E’ altrettanto vero però che per alcuni è stato anche un tempo di riscoperte positive, di legami familiari vissuti più pienamente, di case abitate, di oggetti ritrovati, come per esempio vecchi album di fotografie. Sono pezzi della propria identità che nella freneticità della vita precedente alla quarantena non trovavano spazio. Ora è difficile ributtarsi nella corrente, abbandonando questi aspetti”.
Ma questo potrebbe non essere abbastanza per ribaltare scelte che sembravano imminenti.
“Se la quarantena ha rappresentato una frenata improvvisa è normale che gli oggetti più instabili cadano e che si mettano in discussione equilibri e programmi. Per chi ha avuto le risorse per farlo è stato quasi un periodo di ‘esame di coscienza’. Non sarà un caso anche se i ritiri di silenzio e discernimento delle tradizioni spirituali si modulano su quaranta giorno, per l’appunto una quarantena”.