Quando scienza e musica sono sulla stessa lunghezza d’onda

Dal punk al jazz, passando per la classica: scienza e musica sono la musa l’una dell’altra.

Sono tanti gli scienziati con una doppia vita, dove per 70-80 ore o più a settimana lavorano ai loro progetti di ricerca, mentre in quei pochi momenti liberi vivono tra sale di registrazione e tour mondiali

 

Non ci sono statistiche che documentino quanti ricercatori siano anche musicisti di professione o amatoriali, ma analizzando nel dettaglio se ne possono trovare a bizzeffe. 

In una ricerca dove sono stati intervistati illustri ricercatori con una seconda vita da performers, sono venuti a galla svariati motivi per cui hanno deciso di percorrere questa doppia vita.

Ciò che li spinge è generalmente una culla di conforto dopo aver vissuto dei momenti difficili durante la vita quotidiana, come il fallimento di un progetto di ricerca, il rifiuto di poter lavorare ad un determinato progetto. Si viene assaliti da un’angoscia che ti isola e ti butta giù. Così molti di loro hanno portato avanti ciò che era una loro passione fin da ragazzini, ricaricando le energie e staccando la spina dai brutti momenti. 

 

Svariate analisi portano risultati sorprendenti: la musica nutre e rafforza la scienza. Difatti, creare, esibirsi o ascoltare musica produce dopamina, la neurochimica rilasciata durante i rapporti intimi o altre esperienze eccessivamente piacevoli.

Per Greg Graffin, frontman dei Bad Religion e ricercatore di biologia evoluzionistica, il suo lavoro come musicista e come scienziato vanno di pari passo. Una cosa influenza l’altra e gli da la forza per rimettersi in sesto e ricaricarsi.

Gli scienziati-musicisti intervistati paragonano la sensazione di esibirsi su un palco come a quella di una potente droga che crea dipendenza: è talmente forte che devono rifarlo per forza. Joseph LeDoux, neuroscienziato e leader di una blues-rock band, riesce a trovare un approccio migliore ai suoi studi dopo essersi esibito. “Molto di ciò che faccio per la band è scrivere. Non è la stessa cosa di scrivere un manoscritto, ma è liberatorio e rilassante”. Secondo Cliff Schweinfest, revisionatore scientifico per la US National Cancer Institutue di Rockville, Maryland. “La musica offre un risultato immediato. E’ soddisfacente ed è un ottimo complemento per la scienza, che ha un ritmo molto più lento”. 

 

Secondo lo psicologo Robert Root-Bernstein della Michigan State University, la partecipazione a lungo termine nella musica può aumentare le potenzialità creative nella scienza e nella tecnologia, e gli scienziati che sono anche musicisti possono avere un gran successo pubblicando articoli provocatori o produrre nuove ricerche. “Sono più efficaci di qualsiasi insieme di criteri, incluse le pubblicazioni. Sono più innovativi. Un’eterna esposizione alla musica incoraggia un approccio più creativo nella scienza”.

La ricerca inoltre può informare la musica. I testi della band di LeDoux si basano generalmente sulla funzionalità del cervello e della mente stessa, e questo influenza in modo positivo il lavoro dello scienziato: “Sono davvero migliorato come performer. Ora sono più rilassato e spontaneo. Sono più disponibile ai flussi di coscienza. Esibirmi ha migliorato le mie abilità nei convegni, dove devi stare concentrato sullo schermo e stare attento alle slides. Con la musica invece devi essere lì, in quel preciso momento. E’ un continuo attirare l’attenzione della folla e questo mi ha aiutato ad esserne più cosciente nel mio lavoro”.

 

Per Thomas Scelo, direttore del Marshall Day Acoustic di Hong-Kong, le informazioni sono più dirette: la musica fa parte della ricerca stessa. Con un dottorato in architettura acustica e un master in fisica, sostiene che questo lavoro non sarebbe possibile se non fosse un musicista. “Il mio lavoro è quello di connettere musica e scienza. Come musicista, so perfettamente di cosa si ha bisogno sul palco per esibirsi in condizioni ottime. Il risultato del mio lavoro sono le emozioni: so di aver fatto un buon lavoro scientifico quando vedo la gente in lacrime alla fine di ogni concerto”.

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