La Scripps Institution of Oceanography ha condotto uno studio che li ha portati a delle scoperte spaventose. Si tratta di microplastiche, ovvero delle piccolissime parti di plastica inquinanti, che non tornano all’ecosistema.
Tra il 1971 e il 2013 sono stati effettuati degli studi dove le microplastiche misuravano pressappoco 333 micrometri, cioè un terzo di millimetro di diametro, ma Jennifer Brandon, oceanografa a capo del nuovo studio, ne ha trovato fino a 10 micrometri (un centesimo di millimetro), più sottili di un capello.
Il problema è molto grande, perché la plastica resta plastica, e inquina. La maggior parte delle plastiche sono così resistenti che né microbi, acqua o terreno riescono a rompere i legami chimici.
L’analisi della dottoressa prende in esame dei campioni di acqua di mare e salpe, degli invertebrati gelatinosi che si nutrono di fitoplancton filtrato dall’acqua, che pompano per muoversi.
Il loro stomaco era stracolmo di microplastiche: un fatto sorprendente in quanto dovrebbe ripulirsi velocemente. Questo fatto è preoccupante per gli esseri umani, poiché le salpe sono alla base della catena alimentare, e nutrendoci di un pesce che si è precedentemente nutrito di una salpa, automaticamente noi ingeriamo le microplastiche presenti all’interno dello stomaco della salpa in questione.